
Mohammed Amraoui (Fès, Marocco, 1964) vive a Lione dal 1989. Scrittore e drammaturgo, è linguista e filosofo di formazione. Scrive sia in arabo che in francese. Dal 2001 anima la rivista Les Cahiers de Poésie e da diversi anni partecipa a festival nazionali e internazionali, sia in letture singole che accompagnato da musicisti (classici, jazz o di musica tradizionale marocchina) con i quali crea letture sceniche, simili a spettacoli teatrali.
Intensa anche la cooperazione con fotografi, pittori, calligrafi o videoartisti. Dal 1991 si occupa di atelier di scrittura in centri sociali e culturali, scuole, biblioteche, carceri e ospedali psichiatrici. È traduttore dall'arabo al francese e ha curato l' Anthologie de la poésie marocaine contemporaine (Bacchanales, Maison de la poésie Rhône-Alpes, 2006). Suoi testi compaiono in riviste, quotidiani, antologie, libri d'artista. Tra le sue raccolte di poesia ricordiamo Accouchement de choses (Dumerchez, 2008); Récits, partitions et photographies (La Passe du Vent, 2007), De ce côté-ci et alentour (L’Idée bleue, 2006). In arabo ha pubblicato la raccolta Al-nâfidha al-ahad wa-ayyâm ukhr â ("La finestra, la domenica e altri giorni").
Traduzione dall’arabo e dal fancese di Elena Chiti in Smerilliana, n° 17, 2015
Ascesa
Camminiamo insieme per strada, la luce timida dei lampioni segue i nostri passi, le mani perdono all’improvviso la loro naturalezza, quasi non sanno piú muovere le dita, come se volessero per la prima volta penetrare
per la prima volta
il senso primo
del tatto o la carezza o lasciare solo solo
che il tremito incontri, senza ostacolo, le colline del corpo;
poggio il viso a destra (sei alla mia destra) e dalla tua ascella sale un odore di mare che il mappamondo non conosce, non conosce ancora e
ricordo anche rami, in piazza della Resistenza, dove le mie labbra iniziano l’ascesa – fermi
sotto
la pioggia, e la pioggia
che intreccia i suoi fili costruisce per noi una stanza con pareti incolore, che non sono pareti ma vetri d’acqua che preferisce restare invisibile e segreta
(come l’amore.)
Titolo originale : Mi'râj
Porto
sempre fogli
per annotare grido breve
e ri
go breve –
la parola fogli ha troppo esilio addosso;
l’avere rischia di escludere l’essere: essere qui o altrove dipende da avere o non avere fogli (parola debole). E se sola- mente non si sapesse più
dove
si nasce,
che
ci sarebbe di male,
dice mio figlio
Titolo originale: Sur moi Toujours papiers
Albicocche
Sulla tavola
il cestino di albicocche
aveva un vantaggio fondamentale contro il discorso del ministro in tv_ Ho pensato:
Un solo nocciolo duro un solo grande seme
che una polpa dalla consistenza molle avvolge
in una sfumatura di rossi e di gialli picchiettata di lentiggini
che a volte diventano nere e la forma rotonda
le ha permesso, forse, di rimbalzare di terra in terra
dalla Cina ai confini della Russia fino all’Armenia, poi la Grecia poi l’Africa e l’Arabia
poi l’America e il nome
ha ancora sulla punta della lingua
(con tanto amore per la lingua)
le sillabe antiche degli antichi approdi
Prœcoquum Praikokion Al-barqûq
Albaricoque Albercos Aubercot
Avevo davanti
il frutto
di una lunga immigrazione.
Titolo originale : Abricot
Gli alberi qui sono vecchi come le rovine, le loro ombre hanno conosciuto l’ombra del poeta, il camino, è una frase che l’ha edificato, come il desiderio dell’esiliato
piú alto del
l’albero. Cosí
la parola camino è divenuta camino e, come la parola, si è immobilizzato, niente fumo che fumi, disegno soltanto
incrostato
(l’inchiostro
del poeta lo rimastica
come si rimastica un passato)
Titolo originale : Les arbres ici....
Ac cento
Qua e là
vocali
salgono scendono seguono
la modulazione di un cielo non ancora
chiaro;
un uccello nero e un merlo si dividono la frase straniera
alla mia;
si formano nodi – Dico
Ac cento
Cento ac centi
vibrano
per strada,
intorno a me, senza che
ciò ac ceda
alla fonte né ceda
, ciò
significa soltanto soltanto le ondulazioni e i limiti della bocca e nonostante ciò provoca nella mia vicina uno strano timore di
me, come se
la mia bocca desse un senso incerto
ai suoi occhi fissi circonflessi di notte fonda,
dico infatti notte
e metto l’accento in
mezzo nel vuoto,
le mie frasi si declinano a poco a poco fino a
fino a
diventare lievi domande su labbra d’occidente
sotto
labbra d’oriente
(o viceversa)
Titolo originale : Ac cent
Passaggio
Finestra semi-
aperta dà
su
piazza dove bambini trascinano un bian- chissimo sogno. Al caffè della stazione, un pessimismo mette i piedi sulla sedia
intorno,
e tutto
segni sparsi nell’aria.
Nella finestra, un passaggio e un sipario da cui esce la notte.
Inverno stretto.
Il senso ricuce tutto – tutto quel che corteggio fin dall’estate scorsa. E per caso,
incontro un fruscio che mi ricorda una donna che si portava dietro
un cielo secondo.
Titolo originale : 'Ubûr
Traduzione dall’arabo e dal fancese di Elena Chiti in Atelier poesia, mai, 2016
Geografia
Dentro un libro di geografia
ali di una farfalla
dalla tinta disseccata
me l’ha data una donna
il cui ombelico
ho incontrato
una sera
“tempo fa, tempo fa”
dico.
Il tempo fugge
e le città sono linee rette
e cifre e lettere
a rafforzare
l’illusione della distanza
e in un punto
in un piccolo cerchio
un nome
in cui abita
la donna
il cui ombelico
ho incontrato
una sera
(il nome
è un punto che s’infiamma
su cui cade il ricordo –
ma
vedo
farfalle
che si librano intorno;
più leggere, così
non le fa cadere
la forza di attrazione del punto.
Si librano
- in una favola persiana
dice il saggio
conoscitore di farfalle:
per conoscere la fiamma
la farfalla
si deve bruciare.
Esistenza o conoscenza.
In me solo desiderio.
Senza.
Non
conosco il senso
di un ombelico che diventa
solo
un punto simile
al niente
circondato dalle farfalle
della mente
Titolo originale : Jughrâfiâ
Poi
vedo in una finestra della notte una finestra
della notte
vedo attraverso una finestra della notte
una finestra
senza cornice, senza
vetri, senza forma,
senza colore
(solo:
il segno di una finestra che appare nello spazio di un’eco)
ma
le cose all’interno sono tutte rotonde e dolci come i frutti che sempre desideravo
da bambino
sulla tavola di Lalla Malika vicina di mia cugina nel quartiere di Via Piccola – che continuo a vedere più grande di Via Grande: l’aria diventa come la brocca grigia con l’ansa grande che scivola dalla mano di un grande nume disegnato dalle nuvole e dalla brocca scivola pioggia che diventa nera come caffè ogni volta che si mischia alla terra, mentre le scarpe di una donna aggrediscono la polvere in fretta perché non fugga
il tempo
dalla
sporta del pesce che tiene stretta.
Titolo originale : Thumma Arâ fî nâfidha
Il mio nome
deformato
da
la lingua
(quella che mi accoglie)
si stacca, lo tengo fermo tra le mani e lo batto in punta di pietra, ma non riesco a frantumarlo. Le scintille non hanno forma di lettere – scanalature solo che intercalano il nero,
si s-
calano, poi si ri-
costituiscono.
Mentre alle cose in bocca do sempre due nomi ciascuna, e qualche volta due sessi, quando la cosa è diciamo palpabile, ma non c’è nome per l’ineffabile, ah ineffabile dico, ecco la parola, quando, di sbarramento in sbarramento, di perché in perché fino al balbettamento ultimo di è così, quando si alzano le mani per dire solo è così, capirei
la lingua – come il sesso,
l’organo
l’ostacolo poi
Titolo originale: Mon nom
Traduzione dall’arabo e dal fancese di Maria Cristina Faccanon
Canzone d'amore in stato di guerra
Aspiro nei tuoi seni
l'odore della terra
la terra che i miei passi hanno lasciato
aspiro il cuscino dei tuoi sogni
quando dormi prima di me
e quando dormi dopo di me
aspiro la brezza del tuo soffio
quando l'aria si fa fumo
poiché, una volta distrutte le case,
la gente abita i sogni
E io,
da quarant'anni
abito soltanto
il vento del tuo profumo
Ho solo il tuo cuore
come casa
come tetto
poiché l'amato,
cacciato dalle guerre
perseguitato dagli esili
si getta fra le braccia dell'amata
Se volessi salire in patria
mi arrampicherei sulle tue trecce
Se volessi viaggiare
cavalcherei i tuoi sandali
sotto la pioggia, sotto gli alberi
alla luce della luna
Se volessi dormire
piegherei le righe della tua ultima lettera
Gloria a chi abbraccia l'amore
sotto il mitra
Gloria a chi ha detto
che la pace è un'erba
che spunta nel cuore dell'amata
Titolo originale : Qasîdatu hubbin fî hîzalati harb
Jerusalem a Saffo
Due quarti di luna separati da un filo di sangue, anch'esso attorcigliato bizzarramente attorno al vuoto.
Il vuoto, proprio così. Proprio verticale. Eppure lo risale la spirale, come si risale un gene.
(Pensiamo allo schema deteriorato del DNA).
Una vecchia parentela vira verso un verde pallido.
A destra e a sinistra, il numero 1, dovunque, sdoppiato e piantato, elevato da una specie di cappello di cemento o metallo. Tombe, vestigia, muri, abbaini, invocazioni, riempiti di fantasmi.Cartelli di pericolo. Ogni tanto, il ciel, altrimenti nebbia.
lungo se stessi
con carri e ali di pietra.
Steso a letto, vedo al di là della finestra: rami secchi – solo la punta di rami sottili e spogli.
Dietro, probabilmente, tronco, radici e tartaro. A meno che non siano stati incollati laggiù e, nel riquadro del mio sguardo, da un artificio.
Poco importa.
Esiste ciò che vedo e ciò che non vedo... Ma già da qualche ora una voce di donna si è fatta amica.
Un'aria spoglia quanto quei rami che l'attraversano, melodiosamente, con deità.
Fuori,
una radio gracchia e sputa la stessa notizia:
La città è stata tutta perquisita, da ovest a est, in una cartuccia.
Titolo originale : Jérusalem
Memoria di guerra
Ogni giorno
alle 9 e 16 sui binari
passano
dei vagoni in catene
a un ritmo regolare
trasportano tronchi d'alberi
giganteschi,
recanti
anch'essi
lettere e numeri
alla rovescia
rossi e verdi
Arriva, in bici, una ragazza
dal mantello leggero
color beige,
che faccia caldo o freddo.
Il suo sguardo si concentra
dritto e statico
come quello dei ciechi,
dall'altra parte del binario.
Undici pali numerati
da 7 a 18
con vecchie targhe identiche
“attenti al palo”
e sbarre frangiate di metallo
Su uno di questi,
una confusa incisione,
intravvedo 1942
e più in là, a sinistra,
scritto a mano,
1982.
I tetti scendono giù dalla loro inclinazione
lentamente
come per evitare
che le tegole, già nerastre
e dagli orli verdi
e malinconici di muschio
precipitano-
cosa improbabile-
e scendano,
allineate,
tenute insieme da un pezzo
di fil di ferro grigio,
un semicerchio quasi
in cui convergono
le stesse tegole
con movenze di prospettiva interrotta,
verso di me
sul marciapiede della stazione
accanto alla ragazza in bici.
I portici emanano un aria
di sfaldamento e usura.
Oggi alle 9 e 16,
passano i vagoni
con altre effimere sculture,
la ragazza arriva,
il mantello piegato e sistemato
sul manubrio della bici,
con gli occhi bassi
rivolti al marciapiede opposto.
La figurina,
che vedo
per la prima volta,
senza mantello,
sottile e quasi piatta,
come un foglio di cartone
tirato da un filo invisibile
sembra palesemente
annunciare
una sostanza evasiva,
una malattia,
o semplicemente
una singolarità anatomica.
Un grande tendaggio
di plastica grigia
aveva cancellato il fondale
del binario
Titolo originale : Mémoire de guerre
